Il karma: destino immutabile o forza motrice per la vita?

  • Autore dell'articolo: Elena Stilo e Walter Mazzeo
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Pensieri, parole e azioni. Ognuno ha il suo bagaglio!

Possiamo considerare il karma – termine sanscrito che significa “azione compiuta” – come una sorta di terreno dove vengono seminate le nostre azioni (cause) che una volta poste faranno parte e influenzeranno la nostra vita (effetti). Il nostro agire – porre cause -, secondo il buddismo, si suddivide in tre livelli:

  • Pensieri (azione mentale)
  • Parole (azione verbale)
  • Azioni (atto fisico)

Attuiamo questa semina in risposta agli avvenimenti (cause esterne) e cercando di perseguire ciò che desideriamo, creando così il karma che possiamo considerare come forza potenziale (effetto latente). Quello che incontriamo nella vita e il nostro modo di esprimerci non è casuale ma dipende dal karma, che si basa sulla legge di causa-effetto1. L’accumulo di cause e i loro relativi effetti connotano la nostra persona, vita dopo vita. Il Buddismo considera l’esistenza eterna, un susseguirsi di rinascite caratterizzate dall’insieme dei nostri comportamenti che, ripetuti nel tempo, creeranno delle tendenze karmiche (la nostra personalità, le nostre caratteristiche, più o meno marcate) e delle relazioni karmiche (dove nasciamo, la nostra famiglia, i nostri amici, l’ambiente di lavoro ecc.).

Il karma ha condizionato la nostra stessa nascita. È come il bagaglio che abbiamo coltivato da tempo remoto, che ci lega al nostro passato per gli effetti che viviamo nel presente, e ci proietta nel futuro per le cause che stiamo ponendo ora. Questo bagaglio ci rende unici. A volte è pesantissimo da portare, altre volte non ci accorgiamo nemmeno di averlo. Qualunque sia il nostro karma, la nostra vita resta sempre degna di essere vissuta con gioia, sfidandoci nella trasformazione del nostro destino.

Il karma – cenni storici

Il concetto di karma, in India, era antecedente al Buddismo e veniva visto come un processo naturale nel quale neanche gli dèi potevano intervenire, essendone loro stessi soggetti. In questa idea pre-buddista c’era di fondo un approccio deterministico, infatti la società indiana all’epoca di Shakyamuni (Siddharta Gautama – VI-V secolo a.C.) era rigidamente suddivisa in caste2. Lo status sociale nel quale si nasceva determinava completamente il resto della propria esistenza. Shakyamuni stravolse questa visione priva di speranza, perché considerava molto più importante la qualità delle azioni compiute nell’esistenza presente piuttosto che la condizione di nascita. Partendo da questo punto di vista il princìpio del karma venne radicalmente sviluppato dagli insegnamenti buddisti, rendendolo uno dei capisaldi secondo cui ogni essere umano può rivoluzionare se stesso dando prova concreta dell’illimitato potenziale della condizione di Budda presente in ognuno di noi.

Trasformare il nostro destino e non subirlo

Nel Sutra del Loto troviamo un insegnamento colmo di speranza, ovvero la simultaneità di causa-effetto. In questo principio viene spiegato che nello stesso istante in cui poniamo una causa è già presente in essa il relativo effetto. Come il bianco fiore di loto che nasce dalla melma dello stagno e manifesta il seme e il frutto nello stesso momento. A volte i risultati non si palesano nell’immediato, sia nel bene che nel male. Questo perché il “seme” che abbiamo piantato necessita delle giuste condizioni per germogliare, ma dentro di sé ha già tutte le potenzialità per farlo.

Se da una parte il concetto di simultaneità di causa-effetto porta con sé grande speranza, dall’altra potremmo sentirci in colpa di fronte a reazioni spiacevoli che abbiamo avuto in passato o che potremmo avere di nuovo, arrivando a pensare: “oddio che cause sto mettendo e che effetti avrò?”. È del tutto normale essere preoccupati, ma il Buddismo ci insegna che il karma si può trasformare! Come? Recitando Nam-myoho-renge-kyo3 davanti al Gohonzon4 e richiamando la nostra natura di Budda.

La causa interna principia dalla nostra mente, dal nostro stato vitale. Trasformare il karma corrisponde quindi a trasformare la nostra condizione vitale5. La recitazione di Nam-myoho-renge-kyo ci permette di attuare questo cambiamento interiore e porre così delle cause che avranno in loro gli effetti coerenti a questa nostra condizione vitale rinnovata. Innalzando il nostro stato vitale siamo in grado di illuminare tutto ciò che ci circonda con la luce della causa originale della Buddità. Quando manifestiamo la nostra natura di Budda colma di saggezza, coraggio e compassione compiamo azioni di valore che si riflettono positivamente nel nostro ambiente.

Due facce della stessa medaglia

Affrontare il nostro karma negativo può essere un peso fastidioso e fonte di sofferenza, ma grazie alla pratica buddista6 di Nichiren Daishonin e della Soka Gakkai diventa la migliore condizione – non la più facile o attraente, la migliore – per realizzare appieno i nostri scopi, per la trasformazione radicale del nostro karma e del nostro futuro.

In giapponese il termine missione (shimei) si traduce in “usare la propria vita”. Karma e missione sono due facce della stessa medaglia. Le difficoltà, le sofferenze e gli ostacoli fanno parte delle nostre esistenze. Poter trasformare questi veleni in medicina è la più grande fortuna che abbiamo e, con il nostro esempio, possiamo incoraggiare chi ha sofferto come noi. Non esiste karma che non possa essere trasformato.

Le nostre vite custodiscono la natura di Budda e possono brillare su qualsiasi oscurità. Come vuoi usare la tua?

Note e approfondimenti

1 – Possiamo schematizzare la legge di causa-effetto in questo ciclo: Acausa interna Bcausa esterna/relazione karmica Ceffetto latente Deffetto manifesto/retribuzione karmica.

2 – Sacerdoti (Brahmani), Guerrieri (Ksatriya), Mercanti e artigiani (Vaisya), Servi (Sudra) e gli Intoccabili (Paria). “Il sistema delle caste fu istituzionalizzato gradualmente lungo tutto il corso del 1° millennio a.C., quando emerse la suddivisione fondamentale tra le quattro caste dei sacerdoti (brahmana), dei guerrieri (ksatriya), dei mercanti e degli artigiani (vaisya), dei servi (sudra). A esse si aggiunse, al grado più basso della scala sociale, la casta degli intoccabili (paria), a cui erano riservate le mansioni e le prestazioni più umili e degradanti. Tra questi gruppi ‒ cui si apparteneva per nascita e che vennero in seguito articolandosi in un complicato sistema di sottocaste ‒ regnava una rigida separazione, che quasi sempre era espressa da divieto del contatto (oltre che della mobilità) tra le caste.” (Enciclopedia Treccani)

3 – Approfondimento su Nam myoho renge kyo: una pratica per arricchirsi di virtù!

4 – Approfondimento su Il Gohonzon: Il riflesso della Legge mistica.

5 – Approfondimento sulle condizioni vitali. I dieci mondi: perché la condizione interiore è così importante?

6 – Approfondimento su La pratica quotidiana: fede, pratica e studio. Un impegno costante per…