Sociologia della religione – Max Weber

  • Autore dell'articolo: Pietro Sorace
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A cosa servono le religioni?

La religione influenza la società. Questo è ovvio. Lo vediamo anche attualmente nel dibattito politico del nostro Paese. 
Eppure, in molti possono chiedersi come mai in un mondo, quello Occidentale, sempre più secolarizzato, la religione incida ancora così profondamente nelle scelte democratiche di una nazione.

Innanzitutto, questo non ci deve meravigliare. Ad esempio, leggendo la Sociologia della religione di Max Weber, il sociologo più celebre dell’800, si comprende molto bene perché questo avvenga. 
Le società di ogni tempo, infatti, hanno fondato le loro religioni non solo al fine di spiegare fenomeni naturali incomprensibili, ma anche e soprattutto per regolamentare la propria comunità.  
La religione mette dei limiti e dei confini all’interno dei quali si fondano le società e in cui i loro membri trovano il loro senso comune del mondo rispetto all’esterno, all’altro. 
In questo testo Weber analizza le varie componenti, per lo più comuni, all’interno delle più diffuse religioni al mondo, del presente e del passato. 
Dal Paganesimo al Cristianesimo, dall’Ebraismo al Buddismo, dal Confucianesimo all’Induismo e così via, Weber indaga quei confini all’interno dei quali le religioni più diverse si incontrano. 
Il tedesco parte da una premessa necessaria: il sociologo non si occupa “dell’essenza della religione, il cui corso esteriore è estremamente multiforme, ma si occupa dell’agire religiosamente, che trae la sua originaria consistenza da un processo mondano.”1

L’agire religiosamente non è quindi un fatto irrazionale o prettamente trascendente, bensì è relativamente razionale.  
Infatti, non tutti gli oggetti, per una società, hanno un valore religioso o magico.  
Ad esempio “non qualsiasi pietra può essere impiegata come feticcio” e “non tutti hanno la possibilità di entrare in estasi e di provocare in tal modo quegli effetti meteorologici, terapeutici, divinatori, telepatici che, per esperienza sono raggiungibili soltanto in questo caso.”2

Da qui, infatti, parte la teoria weberiana per cui vi sarebbero degli elementi specifici che portano la società a riconoscere in alcuni oggetti e in alcune persone degli elementi sovrannaturali e fondativi della religione stessa.  
Il testo, infatti, poi si struttura con dei capitoli dedicati alle figure ricorrenti all’interno delle religioni di ogni tempo, come quella del profeta, ma anche alle forme sociali che il profeta o il testo sacro, scritto da o tramite lui, impone alla comunità dei credenti (come ad esempio restrizioni alimentari, nelle cosiddette “comunità di mensa” come le chiama Weber).  
È innegabile che l’attuale società si fondi su tutto ciò che in queste pagine ritroviamo a livello storico attraverso un punto di vista privilegiato, quello religioso.  
Il terzo presidente della SGI, Daisaku Ikeda, anni dopo averlo letto, fece questa fondamentale riflessione sul compito della religione oggi:  

“Dobbiamo lavorare per disegnare un nuovo spirito dell’epoca. Nel bene e nel male i processi di globalizzazione hanno raggiunto un livello tale che la risposta a questa sfida epocale è diventata ineludibile.”3

In molti, soprattutto nel mondo occidentale, pensano che le religioni siano ormai oggetto di studio del passato. In realtà, molto probabilmente, il futuro dell’umanità si deciderà proprio in questo campo.  
Una domanda potrebbe essere decisiva:  
Quanto siamo pronti e disposti a conoscere, comprendere, studiare e a dialogare con le altre visioni del mondo religioso, in cui ci troviamo? 

NOTE

  1. M.Weber, Sociologia della religione in M. Weber, Economia e società (Vol. II), Edizioni di Comunità, Torino 1999, p. 105
  2. M.Weber, Sociologia della religione, cit., p. 106
  3. Proposta di pace 2010 di D. Ikeda: “Verso una nuova era di creazione di valore”, pubblicato su Buddismo e società, n. 140