Piccoli gesti per ripudiare la guerra e costruire la pace

  • Autore dell'articolo: La redazione de il Volo continuo
Lo scoppio della guerra in Ucraina è stato rapido e la sua escalation ha generato paura, senso di impotenza, rabbia e sofferenza. Come praticanti del buddismo della Soka Gakkai, e come cittadini, ci siamo interrogati sui nostri sentimenti e su come costruire una strada di speranza da poter condividere con gli altri!

Come hai vissuto l’inizio del conflitto?

Andrea – All’inizio non ho ben realizzato la portata del conflitto. Ho cominciato a rendermene conto dopo qualche giorno. Da allora sono stato molto male per una settimana ed è stato un periodo in cui non avevo più energie. Mi sentivo completamente esaurito, non vedevo più l’utilità di portare avanti le mie determinazioni quotidiane.

Chiara – Ho provato un forte senso di rassegnazione. Mi sono sentita totalmente impotente di fronte a una minaccia di questa portata. Subito dopo però ho anche pensato “ok questo è uno di quei momenti storici cruciali in cui emergerà più chiaramente la vera natura di ognuno di noi!

Diana – L’ho vissuto male. Mi sono arrabbiata! Ho pensato che fosse un anacronismo, che fosse un’idiozia. Dopo aver pensato queste cose ho deciso di scendere in piazza. Vedere tutta quella gente mi ha ridato la speranza che comunque ci fosse ancora qualcuno disposto a non tollerare la banalità del male.

Filippo – Più vedevo immagini legate alla guerra, più leggevo notizie e più questa sensazione di non poter dare il mio contributo aumentava.

Pierluigi – Nonostante l’Italia non sia direttamente coinvolta, mi sono da subito spaventato e preoccupato che potesse esserci subito un’escalation verso una guerra nucleare.

Tommaso – Mia nonna ha vissuto la Seconda guerra mondiale in prima persona e mi ha sempre raccontato della fame, delle miserie, dei bombardamenti di quell’epoca. Per cui, l’ho vissuta in qualche misura come qualcosa di familiare, come un racconto che improvvisamente diventava vero, vicino, e che mai avrei voluto vedere o pensare che sarebbe diventato reale.

Giancarla – Mi sentivo confusa e spaventata. Mi chiedevo “cosa posso fare io?

Da dove pensi nasca il senso di impotenza e frustrazione?

Diana – Penso che siano delle emozioni del tutto naturali e legittime, in un certo senso. Ma penso anche che nascano da una mancanza di consapevolezza del potenziale che abbiamo proprio come esseri umani. Ovvero, di poter costruire la pace! Penso, appunto, che siano due emozioni che fanno parte della nostra umanità perché come esseri umani siamo finiti, siamo fragili. Credo anche, però, che siano soltanto due delle emozioni a cui possiamo attingere e che lo spettro ne offra di molte più costruttive e potenti.

Pierluigi – Sembra che la guerra sia una cosa troppo grande da poter affrontare singolarmente.

Giancarla – Penso che il senso di impotenza nasca da due fattori: il primo è dato dalla distanza geografica. L’altro aspetto è che, essendo delle persone normali, e quindi non ricoprendo un ruolo diplomatico, politico, ci sembra di non poter fare nulla nel concreto affinché questo conflitto finisca.

Hai cambiato idea in qualche modo? Hai trovato ispirazione nelle parole di Ikeda?

Andrea – La percezione di impotenza nell’ambito quotidiano è stata trasformata profondamente grazie alla lettura degli incoraggiamenti del presidente Ikeda, che hanno rimesso al centro della mia vita la consapevolezza che ognuno e ognuna di noi ha il potenziale di influenzare positivamente l’ambiente a noi vicino e, di conseguenza, innescare un moto di azioni virtuose al cui nucleo vi sia il rispetto della dignità di ogni essere umano. A tal proposito, ho fatto mio l’incoraggiamento di rafforzare sempre di più me stesso, fino al punto che gli atteggiamenti non pacifici degli altri, come quelli di chi giustifica la guerra, i conflitti e la violenza, non mi influenzassero negativamente.

Filippo – La domanda che mi sono fatto è stata appunto “come posso creare valore partendo da questa situazione? Come posso illuminare questo mio senso di impotenza?”. Ikeda ci ricorda sempre che una pace duratura può essere costruita soltanto se trasformiamo il cuore di ogni persona.

Hai in mente delle azioni che vuoi o puoi intraprendere?

Chiara – Guardando al mio quotidiano ho realizzato ancora di più quanto sia la pace, sia la guerra, esistano prima di tutto nel cuore di ogni persona. Per questo motivo la prima azione che ho deciso di intraprendere, come essere umano che pratica il buddismo, è proprio quella di trasformare io per prima i miei sentimenti negativi e, partendo dalle persone intorno a me, creare dei dialoghi basati sulla fiducia e sulla sincerità. Credo che il dialogo sia il punto di partenza di tutto!

Andrea – In ambito lavorativo quest’anno sto avendo la fortuna di poter entrare in molti licei della città dove abito e dove abbiamo l’opportunità di discutere con ragazzi giovani di tematiche impellenti, come può essere anche questa della guerra. In ambito quotidiano ho determinato di rendere ancora più significativi i dialoghi con chiunque incontri. Cercando di infondere speranza e fiducia e con lo spirito di salutare chi già conosco come se fosse il nostro primo incontro, e di congedarmi con ognuno e ognuna come se dovesse essere l’ultima volta che ci vediamo.

Filippo – La prima azione che ho intrapreso è stata una profonda preghiera, proprio per trasformare questo senso di impotenza in voglia di fare, in determinazione, in compassione, in saggezza, per trovare le azioni più adatte per dare il mio contributo. Il modo migliore per trasformare il mondo è partire dalla mia quotidianità e dalle persone che mi stanno intorno.

Diana – Ho la fortuna di un lavoro che mi permette di contribuire in maniera diretta con alcuni progetti a sostegno dell’emergenza profughi, in particolare in questo momento. Al di là di questo, credo che la guerra abbia una stessa radice di male che è comune a vari ambiti della nostra quotidianità. L’intolleranza, la paura del diverso, la mancanza di dialogo, sono tutti aspetti che in un certo senso riguardano la nostra vita. Quindi, mi impegno a disinnescare queste dinamiche quando le vedo agite o quando sono la prima poi a metterle in atto.

Cosa diresti ad un tuo amico/a?

Giancarla – Quello che direi ad un’amica o ad un amico è che in realtà la guerra e la pace nascono all’interno del nostro cuore, e che quindi lo sforzo che dovremmo fare quotidianamente è quello di creare dei dialoghi cuore a cuore con ogni persona che incontriamo: dalla nostra famiglia al vicino di casa, da un amico ad un collega, dovremo proprio diventare noi nel nostro piccolo dei promotori di pace!

Tommaso – Quello che mi sentirei di dire a chiunque e solo una cosa: in questo momento quello che possiamo fare è di rilanciare il nostro desiderio di amare l’umanità, proprio nel momento in cui l’umanità rivela il suo lato peggiore, in qualche misura, il suo lato oscurato e demoniaco. E questo lo possiamo fare con un metodo semplice ma fondamentale e preziosissimo, cioè incoraggiando le persone e offrendo a tutti, indistintamente, incoraggiamenti sinceri.

Pierluigi – Ad un amico preoccupato per la situazione gli direi sicuramente di parlare, di aprirsi. Perché proprio partendo da queste basi, da queste piccole azioni, possiamo affrontare le nostre difficoltà quotidiane magari in famiglia, o con i nostri amici. Quindi, diciamo, affrontando le nostre piccole guerre, così, in questa maniera, riusciremo a creare un mondo migliore.

Simone – Gli direi che ognuno di noi, lì dove si trova, con le nostre azioni, seppur possano sembrare piccole, sono un esempio per creare la pace. Rispettando ogni singola persona e partendo dal dialogo, possiamo davvero trasmettere la grandezza della nostra vita e incoraggiare chi sta soffrendo. Per questo ognuno di noi è fondamentale affinché ci sia un futuro senza conflitti.