Paulo Freire e la sua Pedagogia degli oppressi

  • Autore dell'articolo: Chiara De Mastro e Andrea Yuji Balestra
Un vero rivoluzionario è una persona comune che, partendo dall’approfondire un dialogo con se stesso e con gli altri, si alza da solo per poter trasformare la società.
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La ricerca quotidiana come conquista della libertà

“Ma se la rivoluzione non crede nel popolo e se lo teme, essa perde la sua ragione di essere. Non può essere fatta dalla leadership per il popolo, né dal popolo per la leadership, ma da ambedue, in una solidarietà che non si può rompere. Questa solidarietà nasce soltanto dalla testimonianza che la leadership dà al popolo, nell’incontro umile, coraggioso e pieno di amore con lui. Non tutti abbiamo il coraggio di questo incontro, e ci irrigidiamo nello scontro, nel quale trasformiamo gli altri in puri oggetti. E procedendo così, diventiamo necrofili e non biofili. Uccidiamo la vita, invece di alimentarla. Invece di cercarla, la sfuggiamo.”

Freire, P., 1970, Pedagogia degli oppressi, edizioni Gruppo Abele, p. 146

Come compiere una rivoluzione nel senso più puro del termine, che sia efficace? Che non dichiari con false speranze un cambio di paradigma nel modo di pensare delle persone, e che non rovesci un sistema piramidale in cui esistono vincitori, ma soprattutto vinti, per poi instaurarne un altro, modificando semplicemente le gerarchie al potere, senza poi liberare la piena potenzialità degli individui che abitano la società, permettendo di trovare una missione che faccia loro trascendere i limiti della semplice sopravvivenza al quotidiano? Pedagogia degli oppressi, tra i titoli più celebri del pedagogista brasiliano Paulo Freire, si interroga proprio su questo cruciale aspetto.

Pubblicata per la prima volta in inglese nel 1970, l’opera ha riscosso enorme successo ma anche, grazie al suo contenuto fortemente rivoluzionario, la messa all’indice per anni, tanto nella madrepatria di Freire quanto in molti altri paesi dell’America Latina.

Il corso della storia umana ci ha insegnato che esistono vari modi per compiere una rivoluzione, ma anche che molti di essi si sono rivelati essere dei fallimenti su tutti i fronti. Questo perché si è trattato nella maggior parte dei casi di rivoluzioni “storiche” che hanno reificato gli esseri umani, rendendoli meri oggetti di ideali più grandi, un tipo di rivoluzione che “è sinonimo di violenza e disordine, una follia collettiva. È violenza di massa, che può causare un’enorme sofferenza a una società intera, a un popolo, a una nazione”.1

Nell’opera di Freire si parte dall’assunto che la maggior parte delle persone nel mondo viva una condizione tale che venga naturale definirli degli “oppressi” in seno a una società in cui sono assoggettati dall’establishment politico e dirigenziale e in cui l’educazione che hanno ricevuto ha la semplice funzione di renderli perfetti ingranaggi di un sistema che deve essere perpetrato, affinché essi possano essere sfruttati e in cui essi stessi diventino aguzzini di altri oppressi più deboli di loro.

È una concezione del mondo che richiama quella dove la retribuzione karmica2 con cui gli esseri umani nascono è immutabile, a tal punto che ciò “vorrebbe dire che il destino della gente sarebbe predeterminato, cosa che priverebbe gli individui delle loro energie e della voglia di vivere”.3

Una naturale conseguenza di ciò è che l’umanità si trova a vivere in un’epoca oscura, in cui la scala di valori su cui essa poggia è distorta e crea disordine e sofferenze intrinseche, e dove l’educazione e l’azione dialogica servono solo a conformare una massa acritica in cui teorie concettualmente inoppugnabili, ma profondamente retoriche e manipolatrici, concorrono a tale scopo, proprio come l’Ultimo giorno della Legge4 è descritto nelle scritture buddiste:

“È un tempo in cui gli insegnamenti parziali che Shakyamuni aveva esposto soltanto come «espedienti» generano scuole separate e distinte e vengono in conflitto gli uni con gli altri. Ed è l’epoca in cui è andata perduta la consapevolezza che il Sutra del Loto, in cui si insegna il supremo valore del conseguimento della Buddità, è l’insegnamento corretto”.

Ikeda, D., 2015, Il mondo del Gosho, Esperia edizioni, pp. 222-223

Un educatore e un rivoluzionario che vogliano davvero definirsi tali dovrebbero invece problematizzare il mondo, scoprendo la conoscenza dello stesso assieme alle persone con cui dialogano, rendendo evidenti le contraddizioni di senso che sono presenti, senza depositare semplicemente una visione del mondo codificata attraverso cui alimentare il sistema di idee esistenti, ma facendo emergere le problematiche insite per acquisire consapevolezza insieme e uscire dal giogo dell’oppressione che non permette di alzare la testa, né di trovare un’autentica ragione d’essere nel mondo.

Infatti, come dice Freire:

“Gli uomini si realizzano solo nella misura in cui creano il mondo loro, che è mondo umano, e lo creano col loro lavoro trasformatore. La realizzazione degli uomini come uomini risiede quindi nella realizzazione del mondo. In tal modo, se il loro stare nel mondo del lavoro è uno stare in dipendenza totale, nell’insicurezza, nella minaccia permanente, mentre il loro lavoro a loro non appartiene, non possono realizzarsi”.

Freire, P., 1970, Pedagogia degli oppressi, edizioni Gruppo Abele, p. 162

Una rivoluzione è vera solo quando tutti si realizzano scoprendo autonomamente la propria missione e risvegliandosi dalla passività – ricercando dunque il grande io5 senza mai darsi per vinti nel lucidare quotidianamente la versione migliore di se stessi in accordo con questo obiettivo per costruire, insieme agli altri, un mondo dove regni la soddisfazione del creare valore, aiutando chi non sta vedendo ciò a fare altrettanto.

Secondo il pensiero buddista, un vero rivoluzionario è una persona comune che, partendo dall’approfondire un dialogo con se stesso e con gli altri, si alza da solo per poter trasformare la società. Così come cita Freire “l’azione liberatrice comporta necessariamente la presa di coscienza e l’atto di volontà”, realizzare una vera trasformazione umana e sociale inizia quindi dalla consapevolezza che ognuno e ognuna di noi possiede intrinsecamente la Buddità e può risvegliarsi al suo infinito potenziale. Ciò renderà il mondo e quindi anche l’educazione un luogo in cui “la rivoluzione umana in un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità”6

NOTE

1 – Verso la competizione umanitaria: una nuova corrente nella storia, 2009, Buddismo e società 134

2 – Ovvero le azioni compiute nelle vite passate, che hanno il potere di influenzare la nostra felicità o infelicità in questa vita

3 – Ikeda, D., 2017, Cos’è la rivoluzione umana, Esperia edizioni, p. 75

4 – Ovvero un epoca di calamità e disastri in cui le persone sono tormentate dalla sofferenza

5 – Ovvero un senso di identità più ampio in cui ci impegniamo attivamente per realizzare la nostra e l’altrui felicità

6 – Ikeda, D., Prefazione al romanzo La rivoluzione umana, Esperia edizioni, p. VI