Cambiare le nostre menti per cambiare il nostro mondo
Nella lettera Gosho di Capodanno Nichiren Daishonin scrive: “un sutra afferma che l’inferno si trova sottoterra e un altro dice che il Budda si trova ad occidente. Ma, a un attento esame, risulta che entrambi esistono nel nostro corpo alto cinque piedi”1.
Per il Buddismo, l’Inferno, uno stato di incessante, asfissiante sofferenza, è una condizione della nostra mente. Proprio per questo, per il principio di unità di vita-ambiente del Buddismo, l’Inferno mentale si traduce, nelle nostre vite concrete, sotto forma di sofferenza reale.
Ecco che quindi la parola stessa di Inferno diventa un simbolo, una metafora di una condizione esistenziale. Tutto ciò è ben esemplificato nel poema di J. Milton Paradiso Perduto. L’autore fu molto criticato dai propri contemporanei, assai conservatori, perché, mentre Milton esponeva, nel corso del poema, i temi centrali che lo caratterizzano (la ribellione di Lucifero contro Dio e, poi, le sue prove di tentazione nei confronti di Eva ed Adamo) la figura di Lucifero, il nemico per eccellenza, risultava la più interessante, complessa, contraddittoria e affascinante di tutti. Insomma, il problema era che l’antieroe Lucifero fosse più attraente del personaggio di Dio. Lucifero è un personaggio caratterizzato da odio, gelosia, invidia proprio nei confronti di Dio (elementi che celano, però, anche la sua profonda ammirazione verso di lui), ma, allo stesso tempo, egli è incatenato al proprio ruolo di eterno ribelle ed eterno punito, di Diavolo, al punto d’affermare di preferire d’essere re dell’inferno, che suddito in paradiso.
La grande intuizione di Milton, che lo avvicina così tanto alla visione buddista della vita, è nella sua concezione dell’Inferno e di Lucifero stesso. Quest’ultimo è raffigurato con sembianze solo umane, contrariamente alla tradizione medievale che gli attribuiva ali, corna ed elementi fantasiosi. Invece, il suo inferno è tutto interiore. Il poeta infatti scrive:
e i suoi pensieri sono tormentati/ dal dubbio, dall’orrore e dal profondo/ in lui si agita l’inferno e porta/ l’inferno dentro sé/ né dall’inferno né da sé d’un passo/ spostandosi o fuggendo, può staccarsi.
Daisaku Ikeda scrive “Il Buddismo non esiste separato dalla nostra vita e dalle nostre circostanze concrete”2. Come possiamo allora cambiare questa condizione d’inferno, che tanto influenza non solo le nostre menti, ma la nostra intera realtà? Cambiando le nostre menti. Sempre Ikeda scrive: “quando la nostra mente cambia, anche il nostro mondo cambia”.3 E come possiamo cambiare, allora, questa nostra mente? Scrive Nichiren Daishonin, fondatore della nostra corrente buddista, “Solo recitando Nam-myoho-renge-kyo“.
NOTE
- RSND, 1, Esperia, p. 172
- Buddismo e Società, 213, p. 38
- Ibidem, p. 39
- RSND, 1, Esperia, p. 1