Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen

  • Autore dell'articolo: di P. Sorace e T. Catalano.
Riflessioni sul Mondo di Collera
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J. Austen (1775-1817) è l’autrice di  Orgoglio e pregiudizio, un romanzo pubblicato nel 1813 che ha fatto la storia della letteratura inglese.

UNA TRAMA CHE INCANTA I LETTORI DAL 1813

«È un fatto universalmente noto che uno scapolo provvisto di un cospicuo patrimonio non possa fare a meno di prendere moglie».

Questo è il famosissimo incipit di Orgoglio e pregiudizio di J. Austen che mette subito in chiaro quale sarà il filo conduttore del romanzo. Vi si narra del bello, giovane, ricco e nobile Charles Bingley che affitta una tenuta nei pressi di quella di un’ottima famiglia borghese, provocando scompigli e disaccordi fra le fanciulle del paese, che vedono in Bingley un ottimo partito per il proprio matrimonio. Bingley organizza quindi un ballo durante il quale si innamora della primogenita della famiglia Bennet, Jane. Ma, in realtà, a quella festa si conoscono la sorella di lei, Elizabeth, e il migliore amico di lui, Mr. Darcy.

Inizialmente la storia tra i due protagonisti del romanzo tarda a decollare. Elizabeth è la personificazione dell’orgoglio, Mr. Darcy del pregiudizio: questi due aspetti ostacolano la creazione di un rapporto sincero. Nessuno vuole aprire il proprio cuore all’altro, ma lo vede invece coma una possibile minaccia. A separare ulteriormente la coppia vi è poi una fortissima contrapposizione di classe: lui è nobile (ed è perciò troppo altezzoso per Elizabeth!), lei non è nobile (è considerata da Mr. Darcy un’ignorante, poco più d’una plebea!).
Con un intreccio che ha fatto appassionare tutto il mondo – il nostro, dove la contrapposizione e i pregiudizi nei confronti dell’altro abbondano – alla fine Mr. Darcy ed Elizabeth sradicano il pregiudizio e l’orgoglio insiti in loro: possono così vedere chi è veramente l’altro. Scocca un amore che da secoli tiene i lettori incollati alle pagine d’un libro che è sapientemente intarsiato con dialoghi vividi, reali, simpaticissimi. Tutto si conclude con il loro grande e gioioso matrimonio. Ma che cosa ha permesso a Mr. Darcy ed Elizabeth di superare i pregiudizi e dialogare con sincerità e autenticità? Dalla prospettiva buddista, i due protagonisti sono dominati dal mondo di collera e, grazie allo sforzo di andare contro se stessi e di illuminare questa loro tendenza, riescono finalmente a gioire delle reciproche diversità. Scopriamo cosa significa tutto ciò.

UNA RIFLESSIONE SUL MONDO DI COLLERA 

Seconda la visione buddista dell’esistenza, nella vita di ciascun essere vivente vi sono insite dieci principali condizioni vitali che possono vicendevolmente alternarsi a seconda delle circostanze esterne ed interne, in qualsiasi momento. È la teoria dei dieci mondi: mondo d’inferno, degli spiriti affamati, degli animali, degli asura, degli esseri umani, degli esseri celesti, degli ascoltatori della voce, dei risvegliati all’origine dipendente, dei bodhisattva, dei Budda. È interessante l’utilizzo del termine “mondo”. Allude al fatto che, quando ci troviamo in una determinata condizione vitale, il nostro ambiente, e noi con lui – tutto il mondo insomma-, ci appare in un determinato modo; ma se ci troviamo in una condizione diversa, esso ci apparirà in un altro modo ancora. È come indossare degli occhiali da vista: se li abbiamo rossi, vedremo tutto rosso, se li abbiamo verdi, troveremo tutto di quel colore. Per il Buddismo di Nichiren, attraverso la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, rendiamo la nostra condizione vitale di base il mondo di Buddità, il più nobile e alto, caratterizzato da felicità assoluta, fortuna e dal sentirsi felici e a proprio agio in ogni circostanza. Fatta questa doverosa premessa, se analizziamo le figure di Mr. Darcy ed Elizabeth, ritroviamo due importanti atteggiamenti, resi celeberrimi già dal titolo del libro: l’orgoglio e il pregiudizio. Ebbene, tali comportamenti sono annoverati fra quelli tipici del Mondo degli asura o il già citato Mondo di Collera. In questo caso non si deve intendere la collera come semplice rabbia, ma come arroganza, ovvero quell’illusoria convinzione di sentirsi migliori degli altri. D. Ikeda definisce così gli esseri umani dominati da questo stato vitale:

 queste persone non rispettano gli altri perché si credono le uniche degne di rispetto. Si comportano con benevolenza, rettitudine, saggezza, lealtà, per convincere gli altri di possedere queste qualità, e alla fine finiscono loro stessi col crederci.

(La saggezza del Sutra del Loto, 3, 132)

Allo stesso modo, un antico maestro buddista, T’ien-t’ai, propone una riflessione analoga:

 poiché chi è nel mondo di Collera si crede superiore a chiunque e non può sopportare l’idea di essere inferiore ad alcuno, sminuisce e disprezza gli altri ed esalta se stesso come un falco che vola alto e guarda giù verso il mondo.

(ibidem)

Ad un’attenta analisi, risulta evidente come sia proprio l’orgoglio ed il pregiudizio a rendere infelici le persone. L’orgoglio chiude il cuore, isola, inasprisce col rancore. Il pregiudizio non permette di valutare le situazioni e le persone per quello che sono veramente: tutto è filtrato dalla paura che qualcuno possa spodestarle o lederne l’onore. Tutto, insomma, è reso opaco dal velo del proprio stato vitale. 

Ognuno di noi sperimenta il mondo di collera. Per alcuni potrebbe essere la condizione vitale dominante, mentre per altri sarà il mondo d’inferno, degli animali o degli esseri umani. Ma come uscire da questa gabbia soffocante? Quando lottiamo per kosen-rufu, in base al mutuo possesso dei dieci mondi la vita degli asura manifesta la funzione di Buddità (ibidem, 141). L’obiettivo del Buddismo è realizzare la felicità nostra e degli altri, la diffusione dello stesso pensiero buddista e la pace mondiale (kosen-rufu). Quando lottiamo e agiamo in questo senso, quando cioè recitiamo Nam-myoho-renge-kyo, che lava lo specchio della nostra vita, sradicando le impurità e  illuminando le oscurità, quando aiutiamo gli altri a diventare felici, sostenendoli con compassione, non importa più quale sia la nostra condizione vitale di base. Non interessa se la nostra tendenza è la collera o l’inferno. Recitando daimoku di Nam-myoho-renge-kyo, illuminiamo qualsiasi stato vitale. Lo eleviamo verso ciò che si chiama  creazione di valore. Se ogni stato vitale ha sia un aspetto oscurato sia uno illuminato, non serve cambiare se stessi: bisogna solo illuminare l’oscurità.