Il Nabucco – Giuseppe Verdi

  • Autore dell'articolo: Pietro Sorace e Tommaso Catalano
Un'opera politica e di rinascita che ha segnato la storia di un uomo e di una nazione
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Come Verdi arrivò al Nabucco

Giuseppe Verdi divenne popolare soprattutto dopo la prima rappresentazione del Nabucco al celebre Teatro alla Scala di Milano, nel 1842. Allora l’Italia si trovava sotto la dominazione austriaca e i versi del Va pensiero, sull’ali dorate conquistarono tutti. Gli italiani si identificarono nei sentimenti espressi dal potente coro dei prigionieri ebrei che, condotti in catene verso un paese straniero, cantano con grande passione la nostalgia per la patria. Era come se il popolo italiano, sotto il dominio straniero, si vedesse riflesso allo specchio. Il Nabucco incendiò l’ardente patriottismo da lungo tempo sopito, donando ali di speranza ai cuori di coloro che aspiravano all’indipendenza. Si racconta che durante una rappresentazione al Teatro La Fenice di Venezia, il pubblico si alzò battendo i piedi e sventolando il tricolore verso i palchi degli ufficiali austriaci. Questo coro è così conosciuto e amato da essere considerato il secondo inno nazionale. Poco dopo, lo stesso Verdi divenne un simbolo del Risorgimento italiano. L’enorme successo del Nabucco rappresentò una svolta nella vita del compositore e segnò la nascita di un nuovo Verdi.
Fino a quel momento, stava valutando la possibilità di abbandonare del tutto la carriera musicale. Le disgrazie lo avevano colpito una dopo l’altra: non solo aveva perso in breve tempo la moglie e i due figli, ma la sua ultima opera era stata un fallimento totale. Fu in questa triste condizione che, casualmente, incontrò Bartolomeo Merelli, uno dei più influenti impresari teatrali. Nonostante Verdi fosse riluttante a ricominciare a comporre, Merelli gli infilò in tasca il libretto del Nabucco. Arrivato a casa, gettò il libretto da una parte, ma lo sguardo gli cadde sulle parole del Va pensiero, sull’ali dorate.

Lottando contro il dolore, Verdi raccolse tutte le energie e si mise al lavoro musicando il testo e lavorando duramente rigo dopo rigo. Il risultato fu che, mediante l’introduzione di grandi scene corali, riuscì a comporre un tipo di opera completamente nuovo, caratterizzato dalla grandiosità, dalla passione e dal vigore. Verdi ricevette pressioni da parte delle autorità perché cancellasse alcune scene ritenute sovversive, ma si rifiutò di farlo. Il pubblico accolse con entusiasmo l’opera, inviolata dai tagli della censura, e acclamò l’autore come padre dei cori. Verdi amava l’opera, il dramma e il palcoscenico: controllava ogni più piccolo dettaglio con i propri occhi e le proprie orecchie. In materia musicale non accettava compromessi ed era convinto che gli artisti che esitano non possono progredire. Non era persona da piegarsi alle esigenze o all’arroganza dell’autorità. Figlio di un oste dell’Italia settentrionale, Verdi visse sempre da uomo comune. Si dice che una volta abbia detto: «Non sono altro che un contadino». Con questa coscienza delle proprie umili origini e come amico del popolo, Verdi dedicò la sua vita a comporre opere per amore della musica e dell’Italia.

(D. Ikeda, Ai miei cari amici italiani, pag. 52)

La figura di Nabucco

I faraoni, gli imperatori romani, i monarchi assoluti del Seicento e del Settecento credevano che la legittimità del proprio regnare fosse da ricondurre direttamente alla volontà divina. Ritenevano che di Dio essi fossero la diretta emanazione in terra. Se da un certo punto di vista la religione è sempre stata un instrumentum regni (ovvero un mezzo per poter riunire e governare un popolo), il fanatismo religioso è sempre stato portato avanti in momenti di particolare difficoltà e debolezza del regnante. È quello che succede, ad esempio, nel Nabucco di Verdi. Il re di Babilonia, per poter in qualche modo riparare agli errori del passato, per far fronte ai conflitti esterni come quelli intestini, impone d’abbandonare le vecchie credenze religiose e venerare lui stesso come nuovo dio e signore. Virando verso una deriva fanatica e autoritaria della proprio potere, sfruttando la religione come pretesto, Nabucco si inserisce in una tradizione di personaggi del teatro tragico accecati dalla ὕβϱις, “ybris” (tema portante della tragedia greca antica che significa tracotanza, eccesso, superbia, rovina che porta alla caduta del personaggio). Esplica quella che nel Buddismo si definisce la funzione demoniaca del potere: esercita il potere per il proprio vantaggio, per alimentare il proprio ego, schiacciare gli altri, non pensando più alla pace, il benessere e la felicità del proprio popolo.

Non è eccessivo affermare che il Buddismo fu esposto per consentire a ogni persona di trionfare nella battaglia fondamentale che avviene nella vita, quella fra il Budda e le funzioni demoniache

(D. Ikeda, Cos’è la rivoluzione umana, pag. 46)

Il Budda corrisponde alla condizione illuminata della vita. Le funzioni demoniache sono proprie del demone della nostra mente, il quale è manifestazione dell’oscurità fondamentale. Esso con le proprie influenze negative sottrae alle persone felicità e forza vitale, ne offusca la corretta capacità di giudizio. N. Daishonin, il fondatore del Buddismo su cui si basa la Soka Gakkai, scrisse:

Quello specchio che è la nostra mente non è altro che lo stesso specchio in cui si rispecchia la mente del Budda. Ma noi stiamo guardando la parte posteriore dello specchio e perciò non possiamo vedere la verità o principio alla base della nostra natura, per cui si dice che siamo in uno stato di ignoranza. Ma il Tathagata (ovvero il Budda) guarda la parte anteriore dello specchio e può così vedere e capire il principio alla base della nostra natura. Per questa ragione possiamo affermare che l’illuminazione e l’ignoranza (ovvero il non sapere che tutti gli esseri viventi possiedano la natura di Budda) formano una singola entità. Lo specchio è unico e la distinzione fra illuminazione e oscurità dipende dal fatto che lo si guardi davanti o dietro.

(RSND, II, pag. 803)

Secondo il pensiero buddista esistono, metaforicamente, dieci eserciti del demone: ad esempio falsa gloria, arroganza, disprezzo. Sono soprattutto questi che caratterizzano l’oscurità o ignoranza di Nabucco. Il male, in ultima analisi, e con lui ogni genere di guerra e sopruso nascono dall’oscurità insita nella vita. F. Nietzsche scrisse: quando guardi l’abisso troppo a lungo, l’abisso ti guarda dentro. Se ci concentriamo sugli aspetti di oscurità, di malvagità dell’esistenza, vivremo la condizione che il pensiero buddista descrive come Inferno. Ma come possiamo dar loro battaglia, invece che seguirli o immergersi in essi? La risposta è in un altro scritto di Nichiren, nel quale egli paragona nuovamente la vita a uno specchio:

è come uno specchio appannato che brillerà come un gioiello se viene lucidato. Una mente annebbiata dalle illusioni derivate dall’oscurità innata è come uno specchio appannato che, però, una volta lucidato, sicuramente diverrà limpido e rifletterà la natura essenziale dei fenomeni e il vero aspetto della realtà. Risveglia in te una profonda fede e lucida con cura il tuo specchio notte e giorno. Come dovresti lucidarlo? Solo recitando Nam myoho renge kyo.

(RSND, I, pag. 4)