Il Conte di Montecristo – Alexandre Dumas

  • Autore dell'articolo: Mirko Lugli
Io ho solo due avversari, non dico due vincitori, giacché con la perseveranza li riduco in mio potere: sono la distanza e il tempo.
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L’umanità di chi lotta per la verità e la giustizia

«Io ho solo due avversari, non dico due vincitori, giacché con la perseveranza li riduco in mio potere: sono la distanza e il tempo. Il terzo, e più terribile, è la mia condizione di uomo mortale. Questa solo può fermarmi nel tragitto che percorro, e prima che avrò raggiunto lo scopo a cui tendo: tutto il resto l’ho calcolato. […] A meno che io non muoia, sarò sempre quel che sono»

Il Conte di Montecristo, Donzelli Editore, Alexandre Dumas, p 467

Queste parole sono tratte da un appassionante dialogo che vede di fronte Edmond Dantès, il Conte di Montecristo, e Monsieur de Villefort, procuratore che aveva causato l’ingiusta condanna di Edmond, pur sapendo della sua innocenza.

“Il Conte di Montecristo” è la storia della vendetta di Edmond verso coloro che ne avevano causato la rovina, per ripristinare la giustizia violata. È uno dei capisaldi della letteratura mondiale, molto caro al maestro Ikeda e al maestro Toda. Quest’ultimo, quando seppe in carcere della morte del suo maestro Tsunesaburo Makiguchi, giurò vendetta per il suo maestro. Daisaku Ikeda racconta: 

«Per lui [Toda] “vendetta” significava dimostrare la validità della causa sostenuta da Makiguchi, ereditare la volontà del maestro e creare un flusso di kosen-rufu ampio come un grande fiume. Significava sradicare la miseria dal mondo e inaugurare un’era in cui il potere sarebbe stato restituito alla gente; un’era in cui la forza dello spirito umano avrebbe trionfato sull’autorità, sul potere militare e sulla violenza, permettendo così di stabilire una pace duratura».

La nuova rivoluzione umana, 8, p. 1

Leggendo le pagine de “Il Conte di Montecristo”, risuona nel cuore il ruggito di chi lotta fino in fondo per la giustizia. Un ruggito che Josei Toda, parlando della morte del suo maestro, espresse con queste parole: 

«Non avrei mai creduto di provare un dolore simile nella vita. In quel momento dissi a me stesso: “Aspettate e vedrete! Io dimostrerò al mondo che il mio maestro era nel giusto. Se dovessi adottare uno pseudonimo sarebbe il Conte di Montecristo. Con questo intento io realizzerò qualcosa di grande per ripagare il debito di gratitudine nei confronti del mio maestro”» [ref]BS, 193, 40[/ref].

Buddismo e società, 193, p.40

Quella sua promessa, ereditata dal maestro Ikeda, si è propagata fino a noi, oggi. E grazie a noi può espandersi ancora in futuro, trascendendo la vita e la morte, eternamente.