Affrontare la crisi del Covid-19: pericoli e opportunità

  • Autore dell'articolo: Kevin P. Clements
Mentre questa pandemia semina paura, caos e ansia ci troviamo dinanzi ad un'occasione unica per creare nuove visioni e nuove opportunità che ci permettano di costruire un mondo più empatico, più giusto, meno timoroso, meno inquinato e più in armonia con la natura, piuttosto che in disarmonia.
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Il coronavirus si è diffuso in tutto il pianeta, causando il lockdown degli stati e l’“isolamento auto-imposto” di miliardi di persone. Tutti stanno adottando il distanziamento fisico e sociale. Il virus ha messo in grande difficoltà i servizi sanitari e colto impreparati molti stati nell’affrontare le sue dannose conseguenze. L’economia globale e quella di ogni nazione sono in caduta libera. I sistemi politici, la resilienza sociale e l’obbedienza all’autorità politica sono messi a dura prova dal Covid-19. Il 2020 si sta concretizzando come un momento di trasformazione per la storia dell’umanità. La sfida potrà dare come risultato un cambiamento innovativo del sistema oppure una riconferma dello status quo che si è rivelato incapace di affrontare questa pandemia e la sempre più forte disfunzionalità economica, politica e ambientale.

Al momento della stesura di questo articolo, in tutto il mondo si registrano 2.8 milioni di casi Covid-19; 194.000 persone hanno perso la vita e mezzo milione sono in via di guarigione. Il coronavirus rappresenta una sfida vitale per l’umanità e una minaccia alla sicurezza mondiale a cui poche nazioni e popolazioni erano preparate.

Questo ci ricorda che gli esseri umani non hanno il totale controllo sulla natura e, se non prestiamo più attenzione e considerazione a ciò che l’ambiente ci sta comunicando, questa sarà la prima di tante catastrofi evitabili. È perciò fondamentale non lasciare che le misure a breve termine ci impediscano di ampliare la nostra visione sulle sfide che abbiamo a lungo termine.

Il tasso di mortalità da Covid-19 è molto più alto di quello legato al terrorismo internazionale eppure, in questi ultimi vent’anni, gli Stati hanno investito più risorse nell’apparato militare piuttosto che in quello sanitario e nella sicurezza nazionale invece che nella sicurezza umana. Gli Stati Uniti per esempio, che sono al momento l’epicentro della crisi, hanno speso una media di 180 miliardi di dollari annui per l’implementazione di misure antiterroristiche, rispetto ai 2 miliardi di dollari per la pandemia e le ricerche sulle malattie infettive. Riflettendo a posteriori, la scelta di dare questa priorità di spese risulta oggi del tutto errata. Anche il budget militare appare estremamente eccessivo se comparato alle altre più pericolose e probabili minacce del 21esimo secolo. Il Congresso statunitense, ad esempio, ha stanziato 685 miliardi di dollari per il Pentagono nel 2019, contro i 7 miliardi di dollari per il Centro per il controllo delle malattie.

Questa pandemia ci sta dando l’opportunità di discutere la natura delle minacce del 21esimo secolo e di ristabilire le priorità politiche ed economiche in accordo con la realtà, piuttosto che con ipotetiche minacce all’esistenza umana.

Le crisi rappresentano sia pericoli che opportunità. Siamo consapevoli dei pericoli, ma quali sono le opportunità?

In primis, abbiamo bisogno di cominciare a riconsiderare la natura del rischio, della minaccia e del pericolo nel 21esimo secolo. Il Covid-19 renderà molto difficile per gli Stati del 21esimo secolo attribuire più importanza alle minacce militari rispetto alla minaccia sanitaria, dell’inquinamento globale, delle migrazioni di massa, dei rifugiati, del cambiamento climatico e della diseguaglianza. È essenziale che le persone e i politici inizino a pensare a quanto la natura di queste minacce sia strettamente collegata alla salute e alla sopravvivenza umana. In particolare, è importante considerare queste sfide in termini di sicurezza umana, nonostante i dubbi riguardo all’utilità pratica di questo concetto. Il suo intento normativo è molto più cruciale adesso di quando fu inizialmente discusso e non è al di fuori della portata dei teorici attribuire a questo concetto una maggiore accuratezza analitica.

Come la definisce la Commissione Brundtland: “La Terra è una, ma il mondo non lo è”1. È perciò necessario prestare molta più attenzione a nutrire e costruire caratteristiche comuni a livello globale invece che esacerbare le differenze nazionali. La struttura della sicurezza umana sembra la più promettente ad offrire delle politiche altruistiche e compassionevoli. È stata derisa in passato e disprezzata per il suo essere troppo inclusivo e troppo concentrato sul benessere individuale e collettivo invece che sulla sicurezza nazionale. Ma il Covid-19 ha rimarcato i limiti della sicurezza nazionale militare, che molto chiaramente non è di aiuto di fronte alle catastrofi sanitarie, al cambiamento climatico e all’eliminazione della povertà. Le armi nucleari e la corsa alle armi convenzionali non possono risolvere i problemi che il mondo sta affrontando oggi. Al contrario, li aggravano e li complicano.

La potenza militare è un segno di sconfitta, un fallimento della politica e non apporta nessun aiuto alle minacce esistenziali che stiamo affrontando nel 21esimo secolo. Il modello della sicurezza umana comincia col soddisfare i bisogni fondamentali dell’essere umano di benessere, riconoscimento e sicurezza. Questi bisogni richiedono cibo, acqua pulita, ambienti non inquinati e un maggior focus sulla salute e l’istruzione, che metteranno tutti in grado di vivere in salute e portare avanti esistenze produttive. Per sviluppare strategie che possono promuovere questa visione, è necessario un riordino significativo delle priorità nazionali e mondiali, che si allontanano dal concetto di sicurezza militare e si avvicinano a quello di sicurezza del pianeta.

Affrontare la pandemia è una cosa, ma dietro a questa emergenza incombono le conseguenze a medio e lungo termine legate al cambiamento climatico, che verosimilmente provocheranno tanto disordine quanto il Covid-19 nei prossimi cinquant’anni. The Lancet, per esempio, prevede fino a 500,000 morti causate dal cambiamento climatico entro il 2050. Il mondo ha già ricevuto numerose avvisaglie così chiare (come lo scioglimento dei ghiacci, i disastri provocati da maltempo e inquinamento) da dover attribuire al cambiamento climatico altrettanta importanza quanto quella attribuita alla guerra nucleare. Se non adottiamo un’economia a bassa intensità di carbonio e non diminuiamo la nostra dipendenza dai combustibili fossili, saremo vittime della furia climatica della natura. Come il Covid-19, anche questo influenzerà la terra, gli stili di vita, le abitazioni, i rifugiati e la migrazione forzata, così come il benessere sociale ed economico e la probabile morte di milioni di persone.

Perciò le sfide del 21esimo secolo richiedono le migliori menti per concentrarsi sui diversi modi in cui i nostri sistemi sociali, economici e politici sono connessi fra loro e i modi in cui singole e interconnesse minacce possono e distruggeranno l’equilibro sociale e politico. Dare priorità alla sicurezza umana richiede un pensiero olistico e sistemico se vogliamo fare delle nostre case, vicinati e nazioni luoghi sicuri in cui stare, muoversi e vivere.

In secondo luogo, non è presente nessun tipo di soluzione nazionale per risolvere queste minacce. È necessaria una cooperazione a livello mondiale e regionale per poterle affrontare. L’appello del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres per un cessate il fuoco globale per far fronte alla minaccia più grande del coronavirus è un monito importante su quanto abbiamo bisogno di cominciare a pensare ai rischi del 21esimo secolo nei termini della loro probabilità e letalità. Questo ci permetterà di concentrarci su problemi che non hanno nulla a che vedere con le tradizionali minacce alla sicurezza. Come Guterres annuncia nel suo appello, “la furia del virus mostra la follia della guerra. È tempo di mettere in isolamento i conflitti armati e concentrare le nostre forze sulla vera battaglia delle nostre vite.”2

Un mondo post Covid-19 dovrà quindi rivitalizzare il progetto multilaterale del 21esimo secolo. Invece che ritirarsi da istituzioni come l’OMS, Stati e popolazioni hanno bisogno di concentrarsi nel renderle più efficienti, efficaci e rilevanti nel prendere decisioni a livello internazionale. Allo stesso modo politici nazionali e internazionali devono cominciare a focalizzare la loro attenzione sull’efficienza e rilevanza di istituzioni, strategie e obiettivi che facciano progredire l’umanità invece che concentrarsi solo su concetti relativi agli interessi nazionali.

Il progresso verso gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, adottati dalle Nazioni Unite nel 2000, o i più recenti Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, è estremamente incostante. Questa pandemia colpisce in modo particolare gli strati più poveri della popolazione e questo di conseguenza fa emergere il problema della povertà e della diseguaglianza. Ci sta obbligando a considerare in modo diverso le priorità sociali, economiche e politiche. La sicurezza umana e le rivitalizzate istituzioni multilaterali daranno spazio ad una politica innovativa.

Terzo, è chiaro che questa pandemia comporterà alcuni cambiamenti fondamentali nell’attività economica nazionale, regionale e globale. Su una forza lavoro globale corrispondente a 3,3 miliardi di persone, si è registrata una parziale o totale perdita del posto di lavoro pari all’81%.

Le strategie di isolamento sociale hanno portato alla chiusura di molte aziende e al licenziamento del personale – in via permanente o temporanea. Non abbiamo ancora visto il pieno impatto di questa pandemia sulle economie del Sud del mondo. Come afferma Ramesh Thaku:

I paesi poveri, inclusa l’India, rischiano di manifestare le peggiori conseguenze di entrambi i mondi: l’incapacità di monitorare l’epidemia e l’incapacità di monitorare il collasso economico.
Perché? Prima di tutto a causa della mancanza di capacità dello Stato, che non dispone delle amministrazioni e dei sistemi sanitari necessari per attuare e far rispettare un regime di “test, isolamento, trattamento e tracciabilità” del virus.
Che cosa significa, ad esempio, “distanziare socialmente” in una realtà come quella della diffusa baraccopoli di Dharavi, a Mumbai?
In secondo luogo, il predominio del lavoro sommerso e la dipendenza dal reddito giornaliero per mantenere le famiglie a galla, significa che i disastri economici aggraveranno la miseria di milioni di persone e moltiplicheranno malattie e decessi. 3

È importante, quindi, che il nuovo pensiero economico si concentri sui modi per rivitalizzare l’attività economica sostenibile sia nel Sud che nel Nord industrializzato. Sarebbe estremamente retrogrado riaffermare i vecchi modelli economici in un mondo post Covid-19. Gli Stati e le persone devono coraggiosamente pensare a nuovi sistemi economici per il 21esimo secolo.

Nel Nord del mondo, ad esempio, dal momento che le persone sono autorizzate a riprendere la normale attività economica, ci saranno alcuni grandi cambiamenti. Ci sarà probabilmente un incremento dello shopping online e una buona parte di lavoro da remoto diverrà permanente. Per via di tutti i piani economici che sono stati messi in atto dai governi ansiosi di prevenire il collasso economico totale, sarà molto difficile per gli Stati tornare ad un vecchio programma neoliberale caratterizzato da austerità economica e minimo intervento statale.

Questa crisi ha dimostrato che i tagli effettuati al Welfare per riequilibrare il bilancio sono una scelta politica ed ideologica, non una necessità economica.

Ad esempio, non vi è alcun motivo per cui non si debba contemplare il concetto di Reddito Universale di Base dal momento che molti Stati hanno già garantito qualcosa di simile per far superare la crisi alla popolazione.

Lavoriamo per far sì che il sistema economico che emergerà da questa crisi ponga al centro il benessere sociale anziché quello delle grandi aziende.

In quarto luogo, è essenziale rivitalizzare la comunità e la solidarietà (emersa in risposta al virus) per garantire lo sviluppo di istituzioni sociali solide e resilienti. Quando la crisi sarà finita, è importante che i politici e le persone non dimentichino che chi ci ha permesso di attraversare e superare questa calamità sono gli addetti ai servizi essenziali, gli operatori sanitari in prima linea e tutte quelle persone, spesso ignorate e non riconosciute, che sono fondamentali per mantenere il tessuto della vita urbana moderna. Non sono i magnati e i personaggi famosi che ci stanno permettendo di superare tutto questo: sono i cassieri, i medici, il personale infermieristico, gli idraulici e così via.

Tutto questo rappresenta, quindi, un’opportunità per rivalutare chi stiamo ricompensando con alti stipendi e perché. Ma soprattutto, è importante accrescere la resilienza delle famiglie e dei nuclei familiari, che sono il fondamento della comunità sostenibile.

Questo significa favorire i rapporti locali e fare in modo che i quartieri, i paesi e le città diventino più autosufficienti e che ci sia maggiore sensibilità ai bisogni di tutti, piuttosto che ai bisogni di pochi.

Infine, è vitale che i leader di tendenza autocratica non usino questa pandemia per rendere permanenti poteri autoritari di emergenza. Ci sono prove che ciò stia già accadendo in Ungheria, Polonia, Israele e Brasile. La pandemia è una sveglia per tutti noi per rivitalizzare le istituzioni democratiche, promuovere la parità sotto la tutela della legge e ideare meccanismi che genereranno livelli più elevati di capacità politica e probabilmente un ruolo più centrale per lo Stato nel processo decisionale della direzione economica.

Questa centralizzazione del potere dovrebbe tuttavia essere accompagnata da livelli più elevati di partecipazione al processo decisionale politico. La crisi attuale dovrebbe essere usata per trasformare dappertutto la politica in una direzione progressiva in modo che tutti, dalla culla alla tomba, possano godere di sicurezza, istruzione gratuita e sistemi sanitari in grado di gestire qualunque sfida che il 21esimo secolo ci lancerà.

In conclusione, mentre questa pandemia semina paura, caos e ansia (inclusa l’interruzione dei nostri lavori e programmi al Toda Institute) ci troviamo dinanzi ad un’occasione unica per creare nuove visioni e nuove opportunità che ci permettano di costruire un mondo più empatico, più giusto, meno timoroso, meno inquinato e più in armonia con la natura, piuttosto che in disarmonia. Questo è un momento di opportunità creativa. Lavoriamo per garantire che ciò che emergerà da questa crisi sia un mondo adeguato ad affrontare il resto di questo impegnativo secolo.

Lautore


Kevin P. Clements è direttore del Toda Peace Institute. È presidente fondatore del Peace and Conflict Studies e precedente direttore del New Zealand National Centre for Peace and Conflict Studies (NCPACS) dell’Università di Otago (Nuova Zelanda). Per molti anni, ha prestato servizio come Segretario Generale per l’International Peace Research Association (IPRA), come presidente della IPRA Foundation e come segretario generale presso l’IPRA’s Asia-Pacific region (APPRA). È stato anche Segretario Generale dell’International Alert di Londra, Lynch Professor e direttore d’Istituto presso il Conflict Analysis and Resolution (ICAR) alla George Mason University, oltre che direttore del Peace Research Centre presso la Australian National University. È stato consulente regolare in materia di risoluzione di conflitti, promozione e costruzione della pace, disarmo e controllo degli armamenti e questioni di sicurezza umana presso diverse organizzazioni non-governative, intergovernative e governative. Nel 2014 ha ricevuto il premio per la pace della New Zealand’s Peace Foundation.

Toda Peace Institute


Il Toda Peace Institute è un istituto indipendente impegnato a promuovere un mondo più giusto e pacifico attraverso una politica orientata alla ricerca e alla pratica della pace. L’Istituto commissiona ricerche basate sull’evidenza, convoca seminari multilaterali e multidisciplinari per la risoluzione dei problemi e promuove il dialogo tra divisioni etniche, culturali, religiose e politiche. Incoraggia conversazioni pratiche e orientate alla politica tra esperti teorici, professionisti, politici e leader della società civile al fine di elaborare soluzioni innovative e creative ai principali problemi che il mondo deve affrontare nel XXI secolo (per maggiori informazioni consultare il sito www.toda.org).

Contatti
Toda Peace Institute
Samon Eleven Bldg. 5th Floor
3-1 Samon-cho, Shinjuku-ku, Tokyo 160-0017, Japan
Email: contact@toda.org

NOTE

  1. “The Earth is one but the world is not” Brundtland, G. (1987). Report of the World Commission on Environment and Development: Our Common Future.
  2. “The fury of the virus illustrates the folly of war. That is why today, I am calling for an immediate global ceasefire in all corners of the world. It is time to put armed conflict on lockdown and focus together on the true fight of our lives.” Guterres, Antonio (2020). Statement by the U.N. Secretary General, 23 March 2020. https://www.un.org/en/un-coronavirus-communications-team/fury-virus-illustrates-folly-war
  3. “The poor countries, including India, are at risk of getting the worst of both worlds: failure to check the epidemic and failure to check economic collapse. Why? First because of lack of state capacity, they lack the administrations and health systems to implement and enforce ‘test, isolate, treat and trace’ regimes. What exactly does social distancing in conditions of the sprawling Dharavi slum in Mumbai mean? Second, the dominance of the informal sectors and extreme dependence on daily wages to keep families afloat mean that economic disasters will deepen the misery of millions and multiply illnesses and deaths.” Thakur, R. Personal correspondence, 21 April 2020.