COP26: speranza e azione (1/3)

  • Autore dell'articolo: Miki Takagi e Andrea Yuji Balestra
Questo mese approfondiremo in tre puntate l’argomento della COP, in particolare della COP26 — e vedremo che ruolo ha e come si impegna la Soka Gakkai Internazionale (SGI) nelle questioni ambientali e nella lotta per la giustizia climatica. Per aiutarci a capire questi temi così importanti abbiamo fatto alcune domande ad Alexandra Masako Goossens-Ishii, coordinatrice di programma presso l’SGI Office for UN Affairs.
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LA FORZA DEL DIALOGO PER I DIRITTI UMANI — PARTE PRIMA

In questa prima puntata parleremo di che cos’è la COP e di qual è stato il contributo della SGI alla COP26 in quanto osservatrice accreditata.


Alexandra Masako Goossens-Ishii è coordinatrice di programma presso l’SGI Office for UN Affairs, dove si occupa di clima e difesa dell’ambiente. Ha frequentato la Soka University in Giappone e ha studiato a Ginevra, dove ha concluso i suoi studi con un dottorato in diritto internazionale, in particolare sulla creazione della soft law, soprattutto nell’ambito della migrazione e del clima.

L’Ufficio della SGI per gli Affari delle Nazioni Unite è nato in seguito agli sforzi del presidente Ikeda di creare un legame con l’ONU. Dal 1983, l’anno in cui il presidente Ikeda inviò la prima proposta di pace alle Nazioni Unite, la SGI appare come ONG in status consultivo all’ECOSOC, il Consiglio Economico e Sociale dell’ONU. Da allora, il presidente Ikeda ha inviato delle proposte di pace ogni anno il 26 gennaio, giorno della SGI [1], a personalità di spicco a livello internazionale, molte delle quali presenti all’interno dell’ONU. Queste proposte di pace includono idee fondate sull’umanesimo buddista per trovare risposte valide a questioni globali. Il loro punto centrale e costante è cercare modi di rivitalizzare e rafforzare il ruolo dell’ONU e incoraggiare il sostegno da parte della società civile, promuovendo un senso di cittadinanza globale tra le persone.

Insieme alle proposte di pace annuali, la SGI ha anche presentato proposte a tema su questioni come l’educazione, lo sviluppo sostenibile, la riforma delle Nazioni Unite e l’abolizione delle armi nucleari. Le proposte aiutano a guidare le attività intraprese dalle organizzazioni della SGI a livello globale.

L’Ufficio della SGI per gli Affari delle Nazioni Unite opera a New York e a Ginevra, rappresentando la SGI presso l’ONU e lavorando principalmente in aree che includono pace e disarmo, sviluppo sostenibile e cambiamento climatico, educazione ai diritti umani ed empowerment per l’uguaglianza di genere e per le donne.

Potresti spiegarci brevemente cos’è la COP?

COP sta per “Conferenza delle Parti”, un processo per cui è stata adottata una convenzione dagli Stati membri delle Nazioni Unite, che in seguito hanno creato un meccanismo per cui le parti di questa convenzione si riuniscono discutendo di varie questioni.

Si tratta di un processo che esiste soprattutto per le convenzioni relative al clima e all’ambiente, e la più nota tra queste è la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), all’interno della quale si è tenuta la 26ma Conferenza delle Parti a Glasgow, da cui il termine COP26.

La COP avviene anche all’interno di altri processi, ad esempio quest’anno si terrà il 15° incontro per la Convenzione sulle diversità biologiche (COP15) in Cina e a Ginevra.  

Nell’ambito della UNFCCC, invece, la COP si riunisce da 26 anni. Si tratta di un summit sul clima dove sia gli Stati che parti non statali (società civile, aziende, ecc.) si riuniscono in varie modalità per discutere molte questioni, ad esempio come ridurre le emissioni e limitare il riscaldamento globale. A differenza degli organi non statali, gli Stati partecipano alle negoziazioni.

Nel corso degli anni, la UNFCCC ha attraversato molte fasi. Una fase cruciale è stata la COP21 del 2015, quando è stato adottato l’Accordo di Parigi.

Come Ufficio della SGI degli Affari per le Nazioni Unite, quanto la visione buddista della vita influenza il vostro lavoro e le vostre interazioni quotidiane con altri enti? Quale grado di fiducia è riposto nell’Ufficio dagli osservatori esterni?

La concezione buddista della vita condivisa dal Presidente Ikeda è la spina dorsale del nostro lavoro. Ci basiamo sulle sue proposte di pace, in cui affronta temi discussi all’ONU e li collega ai princìpi buddisti. Per fare un esempio concreto, nelle discussioni e nei dialoghi sul cambiamento climatico e l’ambiente ritroviamo il principio di origine dipendente — ossia il fatto che, come esseri viventi, siamo interconnessi — e il concetto dei tre veleni, radicati nella vita di tutti, causa di molti dei problemi che vediamo nel nostro ambiente, come l’avidità e la costante ricerca del profitto. Inoltre, il modo in cui la filosofia buddista è esposta nello Statuto della Soka Gakkai (Soka Gakkai Charter [2]), dove al primo posto c’è il principio del rispetto della dignità della vita, è lo stesso con cui ci dedichiamo al nostro lavoro. Tornando quindi al campo di cui mi occupo, la consapevolezza di questa interconnessione si traduce nel prendersi cura dell’ambiente e nello stabilire il rispetto reciproco nelle relazioni con gli altri.

Nelle nostre interazioni quotidiane, lavoriamo con altre organizzazioni della società civile e con altre istituzioni delle Nazioni Unite. Inoltre, per quanto riguarda il nostro approccio, affrontiamo le questioni climatiche in particolare dal punto di vista della giustizia sociale e dei diritti umani, dell’educazione e della prospettiva interreligiosa.

In una prospettiva interreligiosa, invece, ci impegniamo a lavorare con altri gruppi di fede per sollevare assieme temi rilevanti in maniera congiunta.

Nelle diverse aree dell’ONU, inoltre, sosteniamo l’educazione in relazione all’ambiente e allo sviluppo sostenibile.
Infine, dal punto di vista della giustizia sociale e dei diritti umani nel campo dell’ambiente e del cambiamento climatico, sosteniamo la giustizia climatica ovunque possiamo. A livello individuale, cerchiamo di fare nostro lo spirito del maestro Ikeda e di rispettare ogni persona. Ciò significa che ci impegniamo a lavorare insieme agli altri per cercare sempre di capire quali voci non sono rappresentate, di contattare e coinvolgere altre ONG o organizzazioni della società civile per creare uno spazio aperto, non esclusivo, in cui le persone si sentano al sicuro e rispettate, affinché possano parlare liberamente. Ci sforziamo di lavorare insieme agli altri e di avanzare in solidarietà. 

Qual è il contributo che ha potuto dare la SGI alla COP26 e, più in generale, quale può essere il contributo di un’organizzazione religiosa ad un evento di questo tipo?

La SGI è stata accreditata come osservatrice per la prima volta durante la COP26; quindi, in quel contesto abbiamo tenuto una conferenza stampa e rilasciato una dichiarazione chiedendo agli Stati di intervenire su alcune questioni.

In quanto osservatori, all’interno dei negoziati il nostro raggio di azione ufficiale è limitato ma facciamo comunque tutto il possibile per far sì che vengano discussi i temi per i quali stiamo lavorando. Nel caso della COP26, quei temi erano legati in particolare alla parte della convenzione che si concentra sull’educazione e sui diritti — quindi il diritto a partecipare, il diritto a essere informati e la sensibilizzazione pubblica — tutti e tre riconosciuti come diritti umani fondamentali. Nel contesto dell’UNFCCC, queste tematiche vengono discusse nell’ambito dell’”Azione per l’Empowerment Climatico” (Action for Climate Empowerment, ACE). In quell’area, abbiamo contribuito a creare e mantenere costanti la comunicazione e la discussione con i negoziatori e con la società civile.

Un esempio sull’importanza del lavoro di advocacy congiunto di molte organizzazioni della società civile e dei Popoli Indigeni riguarda l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che si concentra sul mercato del carbonio. È dal 2015 che gli Stati stanno negoziando il “Paris Rulebook”, ovvero le regole per implementare l’Accordo di Parigi. È importante ricordare che fin dall’inizio la maggior parte delle organizzazioni della società civile e dei popoli indigeni non sono stati a favore del meccanismo che permette agli Stati di scambiare crediti di carbonio, poiché in favore di misure più consistenti per la riduzione delle emissioni. Durante la COP25 nel 2019, i negoziati sulle regole per attuare l’articolo 6 hanno raggiunto una situazione di stallo per cui i governi non sono riusciti a trovare un accordo sulle regole in cui i diritti umani venissero presi in considerazione. Tuttavia, il forte lavoro di advocacy portato avanti da quel momento dalla società civile e dalle organizzazioni dei Popoli Indigeni ha poi portato a includere i diritti umani e i diritti dei Popoli Indigeni nel testo delle regole di attuazione dell’articolo 6 durante la COP26. Di questo ne siamo entusiasti. Riporto a tal proposito un estratto del comunicato che abbiamo presentato all’inizio della COP26:

Oltre ad accelerare la riduzione dei gas serra, è cruciale che i risultati della COP26 non lascino nessuno indietro, rafforzino l’educazione, diano maggiori opportunità di leadership ai giovani e diano a tutti noi il potere di gettare semi di speranza e di azione.” [3]

Nel corso della COP26 ci siamo impegnati anche dal punto di vista interreligioso. Come membri dell’Interfaith Liaison Committee (ILC), insieme ad altri gruppi religiosi abbiamo organizzato il “Talanoa Dialogue” o dialogo interreligioso Talanoa [4], un dialogo in cui tutti erano i benvenuti ispirato al processo tradizionale delle Fiji. Il risultato del dialogo ha portato alla creazione di un appello che è stato poi consegnato al Vicesegretario Esecutivo della UNFCCC. L’attività interreligiosa contribuisce ad accrescere quella solidarietà che porta ad incoraggiarsi a vicenda, sostenendo e amplificando i propri e altrui sforzi. Uno dei punti di forza di quest’attività è stato l’appello per la giustizia climatica, e ciò deriva da un concetto di solidarietà che sta al centro della maggior parte dei movimenti religiosi per prendersi cura delle persone più vulnerabili [5]. Un altro contributo estremamente importante è stata la serie di eventi che si sono tenuti al Websters’s Theatre: “Sowing Seeds of Hope: Action for Climate Justice” [6], e il lancio della mostra Seeds of Hope & Action creata in collaborazione tra la SGI ed Earth Charter International. A questi eventi, è stato cruciale lo spazio creato dalla SGI del Regno Unito e dal Centre for Applied Buddhism, dove è stato possibile condurre discussioni profonde in cui affrontare argomenti complessi come la colonizzazione, i risarcimenti per i danni del cambiamento climatico e altre tematiche rilevanti. Questi eventi hanno anche offerto ricche discussioni interreligiose tra differenti tradizioni buddiste e enti di altri credi sul tema della giustizia climatica. In più, hanno rappresentato un vero e proprio palcoscenico per la gioventù e per quelle persone la cui voce spesso rimane inascoltata, per coloro che in questo momento sono maggiormente colpiti dall’impatto del cambiamento climatico, sempre mantenendo la speranza e l’empowerment come elementi cardine.

Non siamo senza voce, ma siamo inascoltati“.

Dalla COP26, Shreya KC di Nepalese Youth for Climate Action, all’evento “Beyond Rhetoric – Youth Leadership for Climate Action”.

Credo, quindi, che una delle meravigliose tradizioni della SGI sia proprio quella di creare spazi in cui si possano condurre dialoghi per dare modo alle persone di ispirarsi ad imparare l’una dall’altra e ad agire. Concludo con un altro estratto del comunicato citato precedentemente:

Ascoltare le voci dei giovani non è facoltativo; è l’unica strada logica da percorrere se siamo sinceramente preoccupati per il futuro del nostro mondo” [7]

Dal comunicato stampa della Soka Gakkai alla COP26

INFO E CONTATTI

Soka Gakkai International Office for UN Affairs — IG: @sgi_ouna

https://sgi-ouna.org/

NOTE E APPROFONDIMENTI

  1. Qui potete trovare tutte le proposte di pace in italiano in formato PDF, dal 1983 al 2021 https://www.sgi-italia.org/proposte-di-pace/
  2. Qui potete trovare lo Statuto della Soka Gakkai, aggiornato nel 2021 https://www.sokaglobal.org/resources/sg-charter.html
  3. Comunicato stampa della Soka Gakkai alla COP26 https://www.sokaglobal.org/contact-us/media-room/press-releases/cop26-buddhists-create-dialogue-space.html
  4. Il dialogo Talanoa è il modo in cui i popoli indigeni risolvono i problemi nelle loro comunità, e la Repubblica di Fiji, quando era presidente della COP 23, ne ha introdotto il concetto per lavorare sulle questioni più impegnative. Dalla COP23, l’Interfaith Liaison Committee (ILC) organizza un incontro informale interreligioso nello spirito del dialogo Talanoa, con l’obiettivo di servire come piattaforma per le comunità di fede che partecipano alla conferenza COP26, per condividere le loro iniziative, preoccupazioni e speranze nel loro lavoro per la giustizia climatica.
  5. Video realizzato dalla Soka Gakkai durante la COP26 https://www.youtube.com/watch?v=SAIFRmJFtGE&t=28s
  6. Qui potete rivedere la serie di eventi tenutasi al Websters’s Theatre https://sites.google.com/view/sowing-seeds-of-hope/home/
  7. IBIDEM nota [3]
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