COME FIORI NEL DESERTO

  • Autore dell'articolo: di P. Sorace e T. Catalano
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Giacomo Leopardi (1798-1837) è tra i più grandi autori della letteratura italiana. A fronte della loro complessità linguistica e concettuale, le liriche della raccolta “Canti”, il capolavoro leopardiano, sorgono dall’intimo dolore dell’autore e sprigionano una sincerità dirompente. Leopardi fa così in modo che tutti i lettori – adolescenti, adulti, anziani – si possano rispecchiare nelle proprie parole. Risulterà allora interessante andare a scoprire il messaggio umanitario contenuto nel suo capolavoro, “La ginestra”.

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ORA TUTTO HA UN SENSO!

G. Leopardi affrontò, fin da giovanissimo, molteplici sofferenze. Dovette misurarsi con l’incompatibilità caratteriale e valoriale nel rapporto col padre, sopportare la crudele anaffettività della madre, dovette affrontare assidue e incurabili malattie, che lo portarono ad un periodo, per quanto breve, di cecità. La solitudine, la mancanza di amicizie, d’amore, e la frustrazione dovuta alla consapevolezza di percepirsi diverso dagli altri furono sempre sue fedeli compagne. Il poeta si servì tuttavia dell’attività poetica come una vera medicina, una terapia dell’anima. Riversando i propri sentimenti nelle poesie che componeva, li rese non più mere sofferenze, ma fonte d’ispirazione letteraria. Lo scrittore esplora così la propria condizione personale con lo scopo ultimo di trovare un significato più ampio e profondo nella vita. Leopardi considera il dolore come fondamento dell’esistenza umana (tutti soffrono, negarlo sarebbe un’illusione). Nutre allora la convinzione che, penetrando nel proprio dolore personale, potrà trovare risposte non solo per se stesso, ma per l’intera umanità. Leopardi applica il concetto greco di pathei mathos, che significa conoscenza attraverso il dolore o soffrire per capire. Per il Buddismo di Nichiren la sofferenza che sperimentiamo nella vita di ogni giorno risiede nel nostro karma. A questo proposito, D. Ikeda scrive:

Le difficoltà che incontriamo/ lungo il cammino della fede/ hanno tutte un significato. / Anche se vi trovate in circostanze difficili/ e non riuscite a vedere una via d’uscita, /con il tempo, guardandovi indietro, /comprenderete sicuramente ogni cosa: / “È successo per questo motivo!”, / “Ora tutto ha un senso!”.

(NR, 746, 2)

AL TEMPO DEGLI DÈI FALSI E BUGIARDI

Leopardi fu una voce fuori dal coro. Nell’arte si oppose al Classicismo e al Romanticismo, elaborando una via personale. Nella filosofia rifiutò il mito del progresso, dello sviluppo tecnico-scientifico, dell’ottimismo. Ma di quale ottimismo si parla? Della fede assoluta, professata dalla filosofia idealista, nel potere dell’uomo di farsi signore del mondo a discapito dei più deboli e dell’ambiente, di quella fiducia incondizionata nel progresso umano per mezzo della sola tecnologia. Per quanto le sue riflessioni fossero, dalla nostra prospettiva contemporanea, quanto mai corrette e lungimiranti, la comunità letteraria del tempo le rifiutava e per questo motivo ripudiò sempre il poeta. Quest’ultimo scrisse allora la poesia La ginestra, in cui esordisce con la citazione biblica E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce, per sottolineare la funzione di accecamento della ragione esercitata dalle teorie erronee del suo tempo. Leopardi non si è mai tirato indietro nella ricerca della verità. Tale atteggiamento richiama alla mente le parole di Nichiren Daishonin: Io, Nichiren, non sono un uomo saggio. Ma, così come un serpente può comprendere la mente di un drago e le cornacchie possono predire la fortuna e la sfortuna del mondo, io riuscii ad intuire quello che sarebbe successo. E sapevo che, se avessi parlato, sarei stato immediatamente punito mentre, se non avessi parlato, sarei caduto nel grande inferno Avichi.[…] Parlar chiaro, senza paura e senza tirarsi indietro davanti alla società – questo è ciò che intende il sutra quando afferma: «Senza curarci dei nostri corpi o delle nostre vite, avremo a cuore solo la via suprema». (RSND, 1, 903)

IL FIORE DEL DESERTO

Composta a Torre del Greco nel 1836, La ginestra o fiore del deserto rappresenta sia il vertice dell’arte e del messaggio leopardiano, sia il suo testamento spirituale. È una canzone dalle dimensioni faraoniche, scritta in una forma innovativa rispetto alla tradizione letteraria precedente. Nel componimento, Leopardi, confutato l’illusorio pregiudizio antropocentrico tipico del primo Ottocento, riconosce l’innegabile stato di infelicità e fragilità che caratterizza la vita umana. Elabora poi un’idea innovativa, permettendogli di passare dal pessimismo cosmico, così proverbiale, al pessimismo eroico. Egli sostiene che gli esseri umani, una volta riconosciuta la precarietà della propria esistenza e il dolore che è congenito alla vita stessa, invece di opporsi gli uni contro gli altri per le proprie bramosie, dovrebbero stringersi in una social catena. Il poeta invita quindi gli uomini e le donne a sostenersi, incoraggiarsi, ascoltarsi a vicenda, prestare attenzione nei confronti degli altri attraverso l’esercizio della compassione. Questa nuova concezione leopardiana concorda con le celebri parole di Nichiren: Il vero significato dell’apparizione in questo mondo del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, sta nel suo comportamento da essere umano. (RSND, 1, 756)

UN SIMBOLO PIENO DI SIGNIFICATO

Gran parte del fascino della poesia è da attribuirsi all’evocazione della ginestra, che si fa simbolo della condizione umana: E tu, lenta ginestra, /che di selve odorate/ queste campagne dispogliate adorni, /anche tu presto alla crudel possanza/ soccomberai del sotterraneo foco, /che ritornando al loco/ già noto, stenderà l’avaro lembo/ su tue molli foreste. E piegherai/ sotto il fascio mortal non renitente/ il tuo capo innocente: /ma non piegato insino allora indarno/ codardamente supplicando innanzi/ al futuro oppressor; ma non eretto/ con forsennato orgoglio inver le stelle/ né sul deserto, dove/ e la sede e i natali/ non per voler ma per fortuna avesti […] (La ginestra o fiore del deserto, 297-313)

Ma perché la ginestra? Essa è senz’altro un fiore unico in natura. Ha la capacità di crescere e svilupparsi nelle condizioni ambientali più ostili e sfavorevoli (come le superfici vulcaniche). In caso di cataclismi naturali è l’unica pianta in grado di rigenerarsi prima di tutte le altre. È bellissima, profumata, dorata: si piega al vento e non si spezza mai, proprio come l’essere umano che sa sopportare e affrontare tutti gli ostacoli e le sofferenze -che nell’ottica del Buddismo di Nichiren possono essere superate attraverso la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo- facendo sì che quelle stesse difficoltà divengano la linfa del miglioramento e sviluppo personale, in sintesi la porta di accesso alla felicità.

Le correnti delle difficoltà si riversano sul grande mare del Sutra del Loto e si scagliano contro il suo devoto. Il fiume non viene respinto dal grande mare, né il devoto biasima le avversità. […] Senza grandi difficoltà non esisterebbe il devoto del Sutra del Loto.

(RSND, 1, 29)